HUGHIE: BYE, “FREEBORN MAN”….

 Quando ero uno sbarbatello impressionante, dal capello lungo e dalla voglia di stare sempre “da un’altra parte”, mi sono gettato a capofitto nel rock sudista. Sapeva di avventura, di romanticismo, di frontiera. Se gli altri ascoltavano i Pink Floyd, io (e qualche altro con me, of course) mi godevo Freebird dei Lynyrd Skynyrd anche quattro o cinque volte di fila. Così a un certo punto sono incappato su Bring It Back Alive degli Outlaws.
Chi erano costoro? Il disco, con quel titolo da lotta tra nordisti e fuorilegge, già diceva qualcosa. Il sottotitolo della band, “the Florida guitar army”, vale a dire tre-chitarre-tre (come i Lynyrd) per pezzi lunghi all’infinito, aggiungeva il resto. Il doppio dal vivo in questione non è mai sceso dal piatto negli anni a seguire, anche se la band tra alti e bassi, decessi e lacerazioni, non è poi durata così tanto. Alcuni pezzi, però, erano da leggenda: Stick around from rock’n’roll, Hurry sundown, e soprattutto l’incredibile (oltre 20 minuti) Green grass and high tide.
Bene: dietro tutto questo sfavillio di southern rock, c’era un uomo. Il suo nome è Hughie Thomasson. Anche lui, come gli altri, nato in Florida (come la gran parte del rock sudista), chitarrista elegante, poliedrico tra blues e country, persona (mi dicono i miei amici sudisti d’America) gentile e squisita.
Ora Hughie è scomparso: sabato è deceduto per un infarto nella sua casa di Brooksville, in Florida. E’ una scomparsa che mi tocca da vicino non perché fosse un mio parente o un caro amico (nessun paragone con Claudio Chieffo…. http://www.risonanza.net/?p=49), però con Hughie se ne va un pezzo di storia romantica del rock, una vena che mi ha sempre affascinato e che continua ancora a farlo. Lui era uno dei vecchi reduci del periodo d’oro southern, periodo di orgogliosa “appartenenza” ad un’America fatta di radici, di attaccamento alla propria terra, a certi valori popolari, a certe tradizioni, a un certo “sangue”. Periodo di rock che si miscela al country, al blues, persino al bluegrass (come nel caso di Marshall Tucker Band e di Little feat). A tenere alta quella bandiera, ora sono rimasti in pochi “sani”, Gary Rossington e Paul Barrere e (forse) poco più.
Hughie lo ricorderò per quella struggente carica di nostalgia che metteva dentro ad ogni interpretazione, anche le più veementi e infuocate. Lo ricorderò soprattutto per le note del break centrale di Freeborn man, una delle canzoni che più lo hanno “definito”. E lui, in quella definizione di “uomo libero”, ci stava benissimo….
Walter Gatti

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