METTICI L’ORECCHIO: I MIGLIORI DEL 2020

Solito giochino di fine anno per mettere insieme gli ascolti e suggerire qualcosa da ascoltare. E’ anche un modo per sublimare (o esorcizzare) l’anno: qualcosa di buono ci sarà pure stato….

1 – CHRIS STAPLETON – STARTING OVER

E’ ormai una stella di prima grandezza, e lo si immaginava, ma questo nuovo album di CHRIS STAPLETON (che in fin dei conti è solo il terzo della sua carriera, ricordando che From a Room è un doppio episodio della stessa narrazione) supera i precedenti, anche il potente esordio di The Traveller. Cold è un pezzo da brividi, come Watch You Burn e Hillbilly Blood. I confini del suo mondo sono tra i Creedence (e infatti lui reinterpreta Joy of My Life di Fogerty) e la Band. Voce da brividi e suoni grezzi e sinceri. Sicuramente il miglior disco dell’anno!

2 – BLACKIE AND THE RODEO KINGS – KINGS OF THIS TOWN

Il trio canadese Colin Linden, Tom Wilson e Stephen Fearing è una forza poderosa nel panorama musicale nordamericano: tutto confermato con brani come Walking of Our Grave e con la waitsiana baby I’m Your Devil. Il finale, da brividi, è con Grace, ballata in punta di voce che esprime la domanda su quale mai sia il mistero che muove le nostre vite.

3 – JASON ISBELL – REUNIONS

Ormai definitivamente entrato nel novero dei gandi autori americani, JASON ISBELL in strepitosa forma produce un disco pieno di paure, ombre, riflessioni, sofferenze d’amore e di famiglia. Overseas è strepitosa, ma tutto il disco travolge come una tormenta e accarezza come bourbon.

4 – DRIVE BY TRUCKERS – THE UNRAVELING

Band impredibile, i DBT di Patterson Hood e Mike Cooley raccolgono sempre come spugne tutto il bello e il brutto della vita a Sud del Tenneessee, rimasticando tradizioni, suoni e valori che erano del southern rock e dell’alternative country. Ogni loro disco è un piccolo evento, zeppo di fastidio sociale e di rabbia politica, ed anche questo ultimo loro lavoro non sfugge alla regola: ascoltare Waiting for Resurrection, Heroin Again, Thoughts and Prayers ne sono la conferma

5 – TREY ANASTASIO – BURN IT DOWN

Il chitarrista dei Phish ha proposto nel 2020 una cascata di idee e musiche: prima il disco della band, poi (pochi giorni fa) un insieme di inediti realizzati con Page McConnell (tastierista della band). Ma soprattutto ha prodotto questo BURN IT DOWN registrato in tour con la Trey Anastasio Band. About to Run e Dark and Down sono da brividi, ma pure alcuni suoi classici (First Tube, Plasma, Love is Waht We Are) sono da applausi.

6 – WALTER TROUT – ORDINARY MADNESS

Tra gli over-60 è TROUT il chitarrista rock-blues più cocciutamente fedele alle radici. Pochi fronzoli e nessuna concessione al divertissment, tanta chitarra e buona scrittura. Sempre tagliente e cattivo, Walter Trout non trova riposo e conferma che i guai di salute (per fortuna superati) hanno restituito al blues un musicista ancora più motivato che nel passato.

7 – EINSTURZENDE NEUBAUTEN – ALLES IN ALLEM

La formazione berlinese di BLIXA BARGELD, simbolo concettuale, sperimentale ed artistico di tutti i rumorismi rock, torna con un disco a sei anni dal precedente Lament. Come sempre idee e creatività inarrivabili, citando lo spirito del tempo (Ten Gran Goldie), la morte di Rosa Luxembourg, le città, gli amori, le radici (Tempelhof, Wedding). Dovendo parlare di “musica colta” o di “rock intellettuale”, nessuno (forse) arriverà mai alle loro vette, unendo sempre intelligenza, ritmo, soluzioni inattese, provocazioni (non più selvagge come negli anni ’80) sublimi.

8 – SUPERSUCKERS – PLAY THAT ROCK’N’ROLL

A mezza via tra i Georgia Satellites e i Ramones, i Supersuckers di “Eddie Spaghetti” sfornano il miglior disco di puro rock’n’roll del 2020, con grandi ritmi, chitarre a mille, atmosfera che eccheggia gli ZZTop. Undici pezzi facili sempre incerti tra country e garage, da sentire a volume esagerato: la titletrack è puro trascinamento rocckettaro, mentre la rivisitazione di Dead, Jail or Rock’n’roll (dagli Hanoi Rocks) vale da solo l’applauso.

9 – VICTOR WAINWRIGHT – MEMPHIS LOUD

Con quel suo pianoforte che alterna ballate, honky tonk e soul-blues di grande fascino, il buon Victor Wainwright non tradisce giungendo ad una nuova prova eccellente (la quarta da quando è “emerso” dalle autoproduzioni). Canzoni trascinanti, con sentori di big band e di Dr. John (Golden Rule, Sing, Memphis Loud) con in cima due perfette slow ballads (Recovery, Disappear) ed una band che sostiene il piano-man con enorme feeling. Ma il suo stile sulla tastiera è il vero marchio di fabbrica aziendale…..

10 – STEVE HOWE – LOVE IS

C’è tanta sensibilità e sapienza progressive nel nuovo disco di STEVE HOWE, monumento chitarristico intramontabile. Il prog e il folk, le venature di decenni di palchi e di meditazione filosofica entrano con cura in Love is a River, canzone perfetta, ma anche nel resto della produzione. Un anno fa Jon Anderson aveva realizzato il magnifico 1000 Hands: i due sono pronti per ritrovarsi?

11 – ALLMAN BETTS BAND – BLESS YOUR HEART

Sarà che sono straconvinti di dover prendere a tutti i costi l’eredità dei genitori (Allman Brothers Band), sarà che non hanno ancora la continuità e la maturità per staccarsi dall’eredità pesante, rimane il fatto che la ALLMAN BETTS BAND è ancora… incompiuta. Bellissima quando suona liberamente (Pale Horse Rider, Ashes of My Love, Southern Rain), dove soffia il vento del rock degli ultimi 60anni. Un po’ ingessata quando ricade nell’inevitabile citazione (Savannah’s Dream), che per fortuna è ben suonata…..

12 – BOB DYLAN – ROUGH AND ROWDY WAYS

Un disco per dire che …. lui rimane il riferimento musicale di tutti, a qualsiasi età e cultura. Detta senza troppe scuse, Bob Dylan aveva infilato una serie di produzioni che avevano senso nel personale percorso di rilettura della storia della canzone americana, ma che all’ascolto peccavano di utile noiosità (Shadows in the Night, Fallen Angels, Triplicate). Con il nuovo disco Dylan riconferma di essere quello che nessuno potrà mai negargli: la massima vetta contemporanea di quella cultura artistica che chiamiamo musica. I Contain Multitudes è uno sguardo sul tempo e sulla vita che comprende Anna Frank e i Rolling Stones, Chopin e E.A.Poe. Giù il cappello.

13 – DAVID BROMBERG – BIG ROAD

Un monumento della musica americana (classe 1945) torna con un disco godibilissimo, sempre con le radici ben piantate nel country e nel bluegrass (come dimostra il pezzo dedicato a George Jones, Conway Twitty e Merle Haggard). DAVID BROMBERG firma un paio di capolavori emozionanti: Loving of the Game e soprattutto l’epica Diamon Lil, ballata lunghissima che pare venuta dal miglior catalogo di Van Morrison, con il suggerimento amichevole che “un uomo non dovrebbe mai scommettere, più di quanto possa accettare di perdere…”.

14 – JOE LOUIS WALKER – BLUES COMIN’ ON

Più o meno nello stesso periodo Dion e JOE LOUIS WALKER hanno fatto uscire un disco con collaborazioni celebri. Ovviamente sono due dischi blues (strano per Dion, meno per Walker). Il disco più riuscito è quello del californiano Walker. Ci sono dentro Clapton, Eric Gales, Albert Lee, Keb Mo e Waddy Watchell tra gli altri. C’è tanto blues, ma alternato a sprazzi di soul e pop, in ottima qualità complessiva. Non è un disco “purista” ma si sente con grande piacevolezza: ascoltare Blues Comin’ On, Seven More Steps e Old Times Used To Be per credere.

15 – WHISKEY TREATY ROADSHOW – BAND TOGETHER

Una sorta di supergruppo, che miscela scrittura, voci e chitarre di differenti songwriter legati al folk, al country, all’americana. Bel disco, soprendente nel suo piccolo: Pass the Peace, I Bet the World e soprattutto Following Your Tears aprono squarci di speranza romantica sul mondo. I cinque del Massachussets – Greg Smith, David Tanklefsky, Billy Keane, Chris Merenda, and Tory Hanna – hanno creato un disco di folk, di roots music venata di gospel-blues e di passione come non se ne sentono tanti….

16 – JOSHUA RAY WALKER – GLAD YOU MADE IT

Voce adolescente su un corpo extralarge: Joshua Ray Walker è una delle rivelazioni dell’anno. La sua Voices è una canzone sul tormento del suicidio, raccontata con sorprendente purezza e dolore. Il disco è tutto da sentire e ruminare: il country passa di qui, da questo giovane texano che racconta di giovani sperduti, tra citazioni di Townes Van Zandt, influenze di Dwight Yoakam e suoni tra i Lynyrd Skynyrd e Garth Brooks. Le migliori sono User, Bronco Billy’s e D.B.Cooper.

17 – PHILIP SAYCE – SPIRIT RISING

Chitarrista canadese, apprezzato e protetto da giovanissimo da Jeff Healey, Sayce è cresciuto negli anni costruendo una via molto aggressiva e robusta al rock blues. Nell’elenco ormai interminabile di “nuovi Jimi” e “nuovi Stevie Ray”, il canadese si è ritagliato uno spazio distinguibile proprio per il tono sempre rovente e spesso maledetto dei suoi brani, che sfocia nella caotica e trascinante Wild e nell’atmosfera vodoo di Awful Dreams.

18 – FLOWER KINGS – ISLANDS

Disco di puro progressive anni 70, questo prodotto della band svedese fondata da Roine Stolt (già con i Transatlantic e con mille altri) è un omaggio concettuale all’epoca Yes-Genesis-ELP. Suonato con perizia – ma questa è un’ovvietà, visto il genere – il nuovo disco dei Flower Kings ha idee e buona scrittura, fin dall’iniziale Racing With Blinders On, fino a Tangerine e Solaris. Melodicamente ricchissimi, spesso vicini al modello Big Big Train, fortunatamente evitano i territori del metal e si fanno quindi apprezzare anche da chi ha adorato la PFM o i Gentle Giant….

19 – CHUCK PROPHET – THE LAND THE TIME FORGOT

Distinguibile in tutto e per tutto, dalla voce ai suoni, Chuck Prophet continua il suo percorso di folk-rock psichedelico e ben piantato nei Sixties, tra il fantasma dei Birds e lo stile di Ray Davies. Un suo album è da sentire d’infilata: il tempo non è mai passato ed anche questo nuovo album (il 15° da solo, sostanzialmente tutti dopo i Green on Red) lo conferma: Best Shirt On sembra un pezzo di Ray Davies suonato dagli XTC, mentre Willi and Nilli, Meet me at the Roundabout e Nixonland fondono country e desert rock alla perfezione. Get off the Stage è il divertimento finale: ci vediamo alla prossima, con la solita ironia…

20 – BRUCE SPRINGSTEEN – LETTER TO YOU

Probabilmente il disco più significativo di Bruce Springsteen dalle Seeger Session (2006) ad oggi. Una canzone come House of Thousands Guitars vale da sola l’ascolto. Ma ci sono anche Letter to You, Ghosts, Burnin’ Train a completare l’opera. Sempre onesto e diretto: l’età gli pesa (come è naturale), ma la band suona come solo lei sa fare: ci sarà un tour con buona musica da non perdere nel prossimo biennio?

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