BEST ALBUM 2016: 1.BLACKBERRY SMOKE; 2.KENTUCKY HEADHUNTERS; 3.DRIVE BY TRUCKERS

Che anno è stato per la produzione musicale che incrocia i gusti e la cultura di chi scrive qui (e da anni vi propina una classifica ragionata ed emotivamente coinvolta)? Inutile forse dire che è stata un’annata segnata da tante morti (Bowie, Prince, Cohen, Lake, Emerson, Frey, Mack……..), ma anche da tanti dischi. Molti sono quelli interessanti. Forse più che negli anni recenti le mie preferenze vanno pesantemente verso l’ambiente che amo di più, il southern rock.

ANYWAY: ECCO I BEST 2016 (buona lettura e buon ascolto con i video selezionati……)

1 – Blackberry Smoke – Like an Arrow

Forse è il disco più equilibrato, potente ed omogeneo della band di Atlanta. Sunrise in Texas è la ballata perfetta, quella cosa che il southern rock conosce a memoria (eppure non è da tutti scrivere). Waiting for the thunder, Ain’t Gonna Wait , Running through Time e Like an Arrow danno forza e romanticismo al tutto. Working for a Working Man e Ought to Know sono puro southern rock. Per non farsi mancare niente, Charlie Starr e soci hanno poi ingaggiato Gregg Allman per Free on the Wing. Brandon Still alle tastiere è sempre più coinvolto, anche nella scrittura. Ed è un bene…

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2 – Kentucky Headhunters – On Safari

Il quartetto del Kentucky ha inciso uno dei migliori album della loro lunghissima carriera. Storie autentiche, puro rock, country e blues in parti centellinate: Crazy Jim è il pezzo migliore, ballata lentissima che narra la vicenda di una persona in carne e ossa; God Loves a Rolling Stone la segue a ruota, insieme all’abrasiva Deep South Blues Again e Big Time. Greg Martin e compagni non hanno perso la via maestra: c’è da imparare qui……..

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3 – Drive By Truckers – American Band

La qualità di scrittura e la capacità di fotografare l’America autentica, quella del Sud e del Midwest, che hanno Patterson Hood e Mike Cooley, non ce l’ha forse nessuno oggi. What it means è la ballata politico sociale più importante degli ultimi anni; Kynky Hypocrite non è da meno. I suoni sono i soliti: bellissimi e grezzi. Voci insuperabili. Enormi. Una sicurezza ormai.

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4 – Luther Dickinson – Blues & Ballad

Lasciate per un attimo perdere le scorrerie elettriche, mister Luther Dickinson (North Mississippi Allstar, collaborazioni con Black Crowes, The Word, South Memphis String Band) si circonda di tutte le chitarre acustiche possibili e sconfina verso ogni confine folk-blues del suo Sud, tra il Teennessee e la Louisana, passando ovviamente per il natio Mississippi. Capitoli differenti che a volte girano attorno alla stessa linea melodica, da Moonshine a Horseshoe, da Shake (Mama) ai capolavori Storm e Let it Shine: ci sono 21 titoli per un autentico viaggio sudista realizzato con garbo, tecnica, sensibilità, affezione. E mille influenze storiche che soffiano sul fuoco della passione musicale…

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5 – Dion – New York is My Home

Nell’ipotetica classifica delle più belle canzoni del 2016, New York is My Home di Dion si contende la palma della migliore (insieme a poche altre). Difficile ricordare un disco così ricco di idee e di feeling nella recente produzione dell’ottimo DiMucci, che dall’alto dei suoi 77 anni può vantarsi di essere uno che la musica l’ha vissuta e attaversata in ogni modo e forma (The Wanderer è sua), ma sempre con un tocco di qualità e autenticità. La titletrack è da “dieci”, ma tutto il suo nuovo disco (da sentire: Can’t go Back to Memphis e Katie Mae per un’autentica immersione nei Sixties) vale la pena, l’ascolto e l’affetto.

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6 – Gong – Rejoice! I’m Dead

Per chi – come il sottoscritto – ha amato le follie psichedeliche di Daevid Allen, la sua scomparsa (e quella di Gilli Smyth) e la quasi inattesa produzione di questo nuovo album dei Gong sono fatti che hanno lo stesso sapore insolito delle composizioni del musicista australiano (che in un modo o nell’altro ha firmato una cinquantina di album nelle varie formazioni a cui si attribuisce il patronimico “gonghiano”). I suoi figlioli prediletti hanno preso sul serio la sua eredità e pezzi come The Thing That Should Be, Kaptial, la lunga titletrack (con il solo prepotente di Steve Hillage!) e la suite The Unspeakable Stands Revealed indicano che la via intrapresa è quella giusta. Il mix di progressive, Canterbury sound, intuizioni orchestrali e cameristiche è quello del padre fondatore che nel disco è presente in voce in alcuni brani, tra cui proprio Rejoice!

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7 – Pentagle – Finale

La qualità emotiva e l’intreccio acustico di voci e corde renderà per sempre i Pentagle una pietra miliare della musica inglese. Attivi dalla seconda metà degli anni Sessanta, con questo live registrato nel 2008, Jacqui McShee e soci hanno deciso di concludere la gloriosa storia che li ha contraddistinti, dai giorni di Bert Jansh e John Renbourn (scomparsi negli ultimi anni) sino ad oggi. Il tutto ha magia oltre l’immaginabile, da Cruel Sister alla leggendaria Pentangling(in versione eterea) fino alla degna conclusione di Will the Circle Be Unbroken. Se le folk-jamming band guardano a qualche maestro, qui trovano il senso della loro tradizione.

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8 – Seasick Steve – Keeping the Horse Between Me and the Ground

Seasick Steve ci ha preso gusto: da quando ha superato i 70anni azzecca dischi sempre migliori, sempre più coerenti e consistenti. Dalla strepitosa title track a Hell, fino a What a Thang ci si trova di fronte ad un doppio cd eccessivo nella scrittura e nella produzione. Si sentono suoni di derivazione ZzTop, ma è tutto il Sud e il Texas che spinge verso un atmosfera sporca e bluesy; ogni tanto si aprono oasi di penombra, come in Ride e nel classico Gentle on my mind. Pace e silenzio, cuore e nostalgia emergono nella finale I’m So Lonesome, omaggio al maestro del country, Hank Williams, tanto per ricordare quali sono le radici di questo outlaws californiano senza casa e senza patria. Ma con una personalità musicale che sarebbe un peccato ignorare…

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9 – Bellowhead – Live, The farewell tour

Joe Boden e John Spiers hanno deciso di mettere (per ora) la parola fine al loro multiensemble, Bellowhead. E l’han fatto con un live d’addio che è un’esplosione di creatività, da London Town a Sloe Gin Set. La parola d’ordine per questa big-band è contaminazione, laddove mille strumenti fuori contesto contribuiscono ad una visione del folk assolutamente entusiasmante e farneticante.
Come loro (nel senso di così poco rispettosi degli standard, ma follemente creativi) all’interno di un certo folk celtico-britannico (ma aperto a mille influenze) ci sono solo i Kyla. Ma attenti ai Changing Room: il loro recente Pickin’ Up Pieces è davvero notevole. Una sola nota “negativa” (per modo di dire) rispetto a questo ambito: il nuovo cd dei Gloaming non è all’altezza dell’esordio (ma quello era stato pazzesco……).

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10 -Tedeschi Trucks Band – Let Get Me By

La band di Derek e Susan sta diventando nel tempo sempre più una rock and soul band, nel senso già indicato da Delaney and Bonney e da Elvin Bishop. Hear me sembra un pezzo dei tempi d’oro di Joe Cocker o di Delaney and Bonney con tanto di Clapton in aggiunta. C’è dello spiritual in Anyhow, c’è del soul in Right on Time come anche in Let Me get By. Il pezzo finale, In Every Heart, è la ciliegina sulla torta di un disco che ha feeling monumentale. E Derek Trucks dimostra la sua genialità nella sua apparente non invadenza….

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11 – The Rides – Pierced Arrow

Il nuovo capitolo della collaborazione tra Stephen Stills, Barry Goldberg e Kenny Wayne Sheperd genera un ottimo album. Rock-blues di ottima fattura, belle canzoni, grandi voci. Passano sempre lasciando un’ottima traccia dal bluesone lentissimo (There Was a Place) al rock-blues di sapore vaughaniano (I Need Your Lovin) al soul-blues (I’ve Got to Use My Immagination). Stills canta e suona e lascia sempre una zampata di grande personalità…

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12 – Walter Trout – Live in Amsterdam

E’ sufficiente l’attacco di questo doppio CD di Walter Trout – cioè la sua versione di Help Me di Sonny Boy Williamson – per chiarire il valore attuale di questo tremendo chitarrista. L’avevamo già messo tra i top all’uscita dell’album che decretava il suo ritorno dopo un trapianto di fegato (The Blues Come Calling) ed oggi lo riconfermiamo ai vertici.

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13 – Birds of chicago – Real Midnight


Fin troppo facile immaginare che Joe Henry abbia voluto ripetere con il duo formato da JT. Nero e Allison Russel la magia immensa centrata con gli Over the Rhine. Un po’ è così, ma in ogni caso la magia di Kinderspell vale ogni spesa, visto che qui siamo in ambito di assoluta sincerità artistica. Il disco si ascolta tutto con intensità, da Estrella Goodbye a Time and Times. L’ombra di The Band avvolge le armonie…

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14 – Time Jumpers – Kid Sister


Un collettivo di country and western swing: ecco cosa sono i Time Jumpers, comunità musicale nella quale militano senza impegno fisso personaggi come Vince Gill, Paul Franklin, Johnny Cox e Larry Franklin. Disco di divertimento assicurato, Kid Sister è un compendio di swing suonato da gente che ha qualche migliaio di dischi realizzati cumulativamente. Ci si commuove con I Miss You, si balla con We’re the Time Jumpers, Grandissima la train-ballad All Aboard. E Vince si conferma come uno dei più grandi chitarristi esistenti, continuando con la stessa onestà di composizione e di sound con cui aveva raggiunto il successo con i Pure Praire League.

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15 – Con Brio – Paradise

Direi: disco stupefacente. Per farla breve: un gruppo decisamente funky-pop, ma con un background che sta a metà tra James Brown e gli Steely Dan. Suonano da far invidia, vengono da esperienze rock e jazz, hanno un ottimo repertorio, un buon frontman e vocalist (Ziek McCarter). Sentire Free and Brave per credere. Non a caso stanno entrando nel giro dei jamming-festival e hanno già suonando al Boonnaroo…..

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16 – The Jayhawks – Paging mr Proust

Non ricordo un solo disco brutto dei Jayhawks, sia ai tempi di Olsen che dopo. A dimostrazione che classe e capacità di scrittura non si perdono con gli alti e bassi interni di una band. Il nuovo cd non sarà un capolavoro, ma è bellissimo, sempre in bilico tra Beatles e Byrds, con qualche contaminazione sperimentale in più. Alcune ballate delicate e psichedeliche (Pretty Roses in your Hair), mentre Leaving the Monster Behind è una di quelle canzoni senza tempo che potrebbero essere state incise da Roger McGuinn. Su tutti emerge il caleidoscopio alternativo di Ace, sperimentale come alcune cose dei recenti Wilco e di Sufjan Stevens. Visti dal vivo non perdono un grammo del loro fascino. Thanks mister Louris.

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17 – John Doe – The Westerner

Dal punk degli X alla roots music, il passo (forse) non è breve, ma John Doe mostra di saperlo fare molto bene anche grazie al suo ultimo periodo produttivo, decisamente intriso di suoni roots, country e rock’n’roll. Con quella voce (che mi ricorda sempre Jim Morrison), Doe presenta nel suo nuovo album un gruppo di purissime canzoni, che assaporano di Texas, di Arizona, di frontiera e sabbia, di vento e cactus. C’è il crepuscolo incombente in Sunlight, mentre la solitudine punge la pelle in Alone in Arizona. Chitarre immediate e tastiere sixties in tutto l’album di Doe, che termina con la potentissima Rising Sun.

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18 – Winonna – Wynonna & the Big Noise

E’ sufficiente una canzone, Keep me Alive (con Derek Trucks alla slide), per dare il tono ad uno dei suoi migliori album. Un po’ di furbizia, ottimi autori e belle canzoni come Jesus and a Juke Box portano la vocalist del Kentucky su strade convincenti.

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19 – Supersonic Blues Machine – West of Flushing, South of Frisco

Prendy Warren Haynes, Billy Gibbons, Chris Duarte, Walter Trout, Robben Ford ed Eric Gales e mettili in un unico disco. Ecco superband con ospiti illustri. A dar il vita a tutto sono stati Lance Lopez, Fabrizio Grossi e Kenny Aronoff, geni (o visioanri) che hanno pensato questa follia di rockblues cattivo ed abrasivo. Ci hanno azzeccato. Anzi: azzeccatissimo! Basta sentire Remedy per convincersene……

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20 – Mavis Staples – Livin on a High Note

La signora del gospel è sempre in vena. Action e Take us Back sono gospel-rock, mentre One Love ci porta in ambiente roots. Dedicated è una perla di delicatezza black, come fosse un pezzo di Sam Cooke. La longevità di Mavis stupisce. La sua qualità nella continuità fa emozionare.

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ACHTUNG: AGGIUNTA SPUDORATAMENTE SEMI-PUBBLICITARIA:

Come forse qualcuno sa, il 2016 è stato anche l’anno del mio SOUTHLAND. Non è un disco epocale, però non è malaccio, anzi… Chi l’ha recensito ne ha parlato davvero bene, ad esempio (clicca qui): Maurizio Galli sull’Isola che non c’era:

Quindi: tenetelo presente se non sapete cosa ascoltare dopo i primi 20 del 2016………..

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