HARD TO SEE TROUBLE COMING: LA MATURITA’ DI KRUMMENACHER

L’anno musicale è iniziato. Come? Il disco che sicuramente mi ha stimolato di più è HARD TO SEE TROUBLE COMING, di Victor Krummenacher (voto 8).

Abbastanza interessante concettualmente è stato il ritorno di Justin Townes Earle con Absent Father (voto 6+) che idealmente chiude il cerchio della narrazione della nuova solitudine americana di genitori e figli iniziata con Single Mothers (voto 6/7). Il risultato del figlio d’arte non è fantastico, ma l’idea è da non perdere.

Anche il nuovo Waterboys, Modern Blues (voto 6/7) ha belle canzoni ed è di certo meglio di An Appointment with mr. Yeats (ma non di Dream harder e Book of lightning). D’altra parte Mike Scott è per me un intoccabile e nuovi pezzi come Destinies Entwined, I can see Elvis e Long Strange Golden Road portano inconfondibili la sua firma d’autore.

Mentre al primo ascolto pare che Live at the Orpheum dei King Crimson CON Robert Fripp e tre batteristi/percusionisti pare una proposta appetibile soprattutto per lanciare il ponte verso il nuovo disco di studio (voto introduttivo: 6/7).

Krummenacher ha invece inciso un disco di grande maturità che i recenti prodotti dei Camper Van Beethoven (quasi inutili dalla reunion in poi) forse non hanno. I CVB avevano ed hanno di certo quell’ecletticità che Victor da alcuni anni ha fatto sua, distillandola in un suono che si posiziona a mezza via tra il “cosmic country” e la roots d’autore (i suoi migliori album sono stati Saint John Mercy e Patriarch’s Blues) ed incide cose notevolissime e mai banali. Non ha mai abbandonato gli amici Jonathan Siegel e David Lowery, ma ha deciso di fare da solo ogni tanto, evitando le accelerazioni e rimanendo all’interno di un clima di alt-rock che in certi momenti ha punti di contatto sia con Beck che con Ryan Adams, ma che mostra una differente complessità e profondità.

Questo nuovo album mette insieme ispirazioni che vanno da Townes van Zandt a Billy Joe Shaver. La title track del nuovo album di Krummenacher è un pezzo di pura atmosfera tragica e notturna (sembra un pezzo uscito dalle registrazioni di Lake Placid Blues di Tony Joe White) ed è dedicato alla morte di Richard Manuel; If I could only close my eyes è puro Gram Parsons (manca solo la voce di Emmilou Harris), mentre una lontana vena pinkfloydiana (forse non a caso CVB portavano in scena una stralunata Intersellar Overdrive) sboccia cupa in All of this is mine, che forse suona come il più eccentrico dei pezzi dell’album, come fosse una registrazione di Mark Lanegan con più pulizia e minor irrequietezza ubriaca. All’interno di discorso artistico più country-folk (ed “americana”) emergono brani come Chemtrails, Tennessee e soprattutto Kidalton Cross, piccoli gioielli di equilibrio, di delicata e intensa bellezza. Insomma è un disco elegante, ben scritto e ben suonato, rarefatto e atmosferico che merita l’ascolto. Ed anche l’affetto….

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