I VENTI MIGLIORI DISCHI DEL 2014

Ho aspettato giusto la fine dell’anno, tanto per non rimanere preso in contropiede dalla classica uscita natalizia. Ma alla fine ecco la mia personale classifica annuale, attesissima dai più:

1-Railroad earth- Last of the Outlaws (folk-jam-americana)

Dall’inizio dell’anno (è uscito a febbraio) questo si è proposto come uno dei dischi più interessanti dell’annata, e alla fine a mio parere rimane il top. Oggi più che mai i RAILROAD EARTH fanno dell’americana con un’attitudine jam strepitosa. Qui ci si confronta con l’idea di suite (gli oltre 20minuti di ALL THAT’S DEAD MAY LIVE AGAIN) senza timore di immergersi nelle sfumature del jazz, del bluegrass e della musica celtica. Qui ci si immerge nel caraibico (WHEN THE SUN GETS IN YOUR BLOOD) senza timore di essere redarguiti da Jimmy Buffet. Todd Sheaffer, Tim Carbone, Andy Goessling, John Skehan e Carey Harmon sono oggi una major force: disco superbo, ricchisssimo, lunghissimo che si confronta senza paura con un ideale musicale ambizioso e vincente.

2- AA.VV: All My Friends – Celebrating the song and voice of Gregg Allman (southern rock-live)

Questo è quello che mr. Allman ha in mente per il proprio futuro: essere il padre spirituale del southern rock, circondandosi di belle collaborazioni, con una band mostruosa (governata da Jack Pearson) e con canzoni da mandare a memoria (se già non ci sono). Lui è l’uomo che ha firmato cose leggendarie come MIDNIGHT RIDER, I’M NO ANGEL, MELISSA, DREAMS, WHIPPING POST. Versione leggendaria per WIN, LOSE OR DRAW, ballata spesso dimenticata. Intorno a lui una parata di bei nomi: Taj Mahal, Widespread Panic, Dr. John, John Hiatt, Jackson Browne, Sam Moore, Keb Mo…


3- Walter Trout- The Blues Came Callin (rock-blues)

Il disco blues rock dell’anno è di Walter Trout: con 30chili di meno, una salute instabile, ma una qualità di passione chitarristica e di scrittura sempre più potente e che i “fighetti” del blues si scordano (John Mayer e Joe Bonamassa for example). I WAS BORN IN THE CITY è uno dei pezzi capolavoro del 2014, ma tutto il disco è di livello debordante. Resistere nel blues è una missione, così come vivere nella città è una sfida a chi ama “la dolce vita della campagna”: “i love the danger of the city“…

4- The gloaming – The gloaming (folk-celtic)

Che sorpresa: una formazione di radice irlandese, che si fa attrarre dai suoni del folk sperimentale e della musica da camera. THE OLD BUSH è pura sperimentazione sonora, rumori e sussurri arcaici che sfociano in un ensemble autenticamente fascinoso. THE OPENING SET è la riprova che si può estendere l’arco della partitura ben oltre gli standard di “genere”: irish music o celtic soundtrack Lavorano tra le due coste dell’Atlantico Iarla Ó Lionáird, Martin Hayes, Caoimhín Ó Raghallaigh, Dennis Cahill e Thomas Bartlett, e il risultato di questo loro esordio benedetto da Peter Gabriel ai Real World Studios. Più fedeli al verbo celtico di gente che ha già tentato le contaminazioni (primo esempio: i Kila), dimostrano l’incredibile vitalità colta della terra di San Patrizio.

5-Stevie Nicks – 24 Karat Gold (rock)

La signora a volte ha deluso, questa volta assolutamente no. La raccolta contiene vecchie canzoni ed outtakes registrati nuovamente e tirati a lucido. Il capolavoro è LADY (miglior canzone dell’anno?), ma ci sono STARSHINE, I DONT CARE e HARD ADVICE che suonano perfettamente. Voce indimenticabile e musicisti che rispondono al nome di Mike Campbell, Waddy Watchel, Benmont Tench, Dave Stewart e Mark Knopfler

6-Umphree’s McGee – Similar Skin (jam rock)

Bellissimo disco: Brendan Bayliss e soci suonano da maestri, ma a differenza di altri (ovviamente il pensiero va ai Phish, maestri in fase di stallo….) non sono in stasi creativa. Quindi: non solo perizia, ma anche fantasia e scrittura come mostrano BRIDGELESS, SIMILAR SKIN e NO DIABLO

7-Cat Stevens – Tell ‘m I’m Gone (songwriter)

Il miglior disco da un paio di decenni per uno dei più grandi autori pop della storia. La sua versione di DYING TO LIVE è tra le migliori canzoni dell’anno. Quando canta ha una voce, ed una inflessione interpretativa unica e non confondibile. Quando interpreta e scrive (poche volte, ma buone) si fa solo amare (I WAS RAISED IN BABYLON, DOORS). Ben tornato a un grandissimo!

8- Mannish Boys – Wrapped Up And Ready (Chicago-blues)

A Chicago il blues non dorme mai, e i Mannish Boys ne sono la conferma: peccato che loro vengano da Los Angeles! Sedici titoli per questo album che ci regala la coppia chitarristica Kirk Fletcher e Franck Goldwasser in fantastica vitalità. Un rovente BLUES FOR MICHALE BLOOMFIELD conclude il prodotto. La pazzesca temperatura di Double Dynamite è confermata!

9 – Barzin – To Live Alone in That Long Summer (songwriter)

Anche questo è stato un disco della prima parte dell’anno e non ha perso lo smalto a confronto con le altre uscite successive. La qualità somma di Barzin forse sta nella limpidezza della sua semplicità narrativa e compositiva. Siccome è canadese, gli americani lo snobbano, però ha la stessa qualità creativa di Alan Sparhawk e Mark Kozelek (che quest’anno ha fatto un bel disco, ma di bellezza inferiore). WHITHOU YOUR LIGHT e IN THE MORNING sono gli episodi migliori di un viaggio suggestivo tra cinema e fotografie sbiadite e amori interscambiabili. Kurt Cobain, se fosse stato un musicista acustico, avrebbe “forse” scritto canzoni simili.

10-Ruthie Forster – Promise of a Brand New Day (blues)

Ruthie non sbaglia mai un colpo. Il suo è un blues venato di soul elegantissimo e verace come mostra SIGNING THE BLUES. COMPLICATED LOVE sembra un pezzo di Joan Baez, mentre SECOND COMING è una spiritual-song di antiche suggestioni.

11- Ziggy Marley – Fly rasta (reggae)

E’ bellissimo risentire il “giovane” Marley tirar fuori dalla sua Giamaica un disco così importante. La chicca è SO MANY RISING, ma nell’album c’è space rock, pop e … ovviamente reggae. Godibili e maturo!

12-Leonard Cohen – Popular Problems (songwriter)

Non è un disco con la forza di Old Ideas, ma il signor Cohen ogni volta che scrive e canta, lascia il segno. BORN IN CHAINS e MY OH MY sono i momenti migliori. Ma d’altra parte appena lui si avvicina al microfono e canta, il resto scompare…

13-Erik Church – The outsiders (southern rock)

Potrebbe essere la rivelazione southern-country del prossimo periodo. Non a caso Gregg l’ha voluto on-stage per la sua parata di stelle: Eric Church con questo disco conferma il suo mondo di luci-ombre, angeli-demoni, classici temi del mondo country. Tra Nashville e il North Carolina i suoi pezzi hanno la forza degli ZZTOP mescolata al romanticismo di Bob Seger. Forse ha la creatività che un Kid Rock non ha mai mostrato…

13- Drive by truckers-English Oceans (southern rock)

Non sarà il loro disco più bello (altrimenti sarebbero molto più in alto in questa classifica), ma ancora una volta Patterson Hood e Mike Cooley confermano di essere una delle più importanti coppie del rock. GRAND CANYON è una simpatica passeggiata di psycho-southern, perfettamente figlia di Alabama Ass-Whuppin’…

14- Eric Gales-Good for sumthing (blues-rock)

Gales è uno dei chitarristi black più impetuosi e interessanti. Questo album lo dimostra, anche nella varietà di ispirazioni che fa respirare: da Hendrix ai Doobie Brothers, da Muddy Waters agli Steely Dan. Il pezzo più stimolante è YOU GIVE ME LIFE, ma il blues di SIX DEEP e la ballatona HEAVEN’S GATE gli rendono giustizia anche come autore. Curiosa è STEEP CLIMB: versione di Vodoo Chile con Zakk Wilde a contribuire al delirio elettrico.


15- Sharon Jones – Give the People What They Want (r’n’b)

Rimane la miglior interprete autenticamente rhythm’n’blues della musica americana contemporanea. Non c’è un solo sprazzo di rap, nei pezzi che intepreta Sharon: solo r’n’b e soul nostro contemporaneo. Gli manca la potenza e l’estensione vocale, ma non di certo la grinta pazzesca.

17- String Cheese Incident – A Song In My Head (jam rock)

E’ sempre più evidente che l’influenza della Louisiana sugli SCI è il segno distintivo della loro più recente produzione. I Neville Brothers e finanche i Subdudes sembrano essere i padrini di Kollingsworth e compagni anche in questo bel disco, fortissimamente caraibico anche quando – esempio: COLLIDING – i pezzi sembrano uscire dalla fucina dei Dead.

18-Sun Kil Moon – Benji (songwriter)

Kozelek fa un altro bel disco, proseguendo l’uso della denominazione Sun Kil Moon. Non un capolavoro, ma di enorme qualità con una DOGS dall’incedere fastidiosamente invadente. CARISSA e PRAY FOR NEWTOWN non sono da meno. Apparentemente dimesso, segretamente labirintico Kozelek è immensamente meglio oggi che con i Red House Painters.

19- Sturgill Simpson – Metamodern Sound of Country Music (country)

Una bella sorpresa. Secondo disco da indipendente per Simpson, country singer del Kentucky, e bel risultato finale: da Johnny Cash a Joe Ely passando per la Nashville degli anni ’50. Gusto ancient regime per la registrazione e uso moderato dei filtri e dell’elettronica fanno il resto. THE PROMISE è un pezzo con i fiocchi.

20 – Ian William Craig – A turn of breathe (sperimental)

Cantante lirico nell’estremo nord ovest americano, Ian William Craig ha realizzato il disco sperimentale più curioso e affascinante dell’anno. Voce e voci, nastri preregistrati, qualche chitarra acustica campionata: tutto qui. Se alla fine sia un operazione new-age o addirittura un prodotto di musica spirituale giudichiamolo poi…

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