BEST 2013: Get Up!

Eccoci ancora una volta a fare il bilancio di un anno di musica cercando di proclamare il vincitore di una disputa che non può che essere personalissima. A mio giudizio l’anno appena conclusosi non è stato particolarmente ricco di novità e soprattutto funestato da scomparse dolorosissime, come quella di JJ Cale e di Lou Reed, solo per ricordarne alcune ancora fresche nella nostra memoria. Le novità, o almeno quelle che la complessa macchina del Music Biz ci porta all’attenzione con logiche di distribuzione assolutamente non correlate alla qualità, dicevo, sono state molto poche: analizzando le recensioni che mensilmente compaiono sui magazine di settore o sul web è facile accorgersi che almeno il 50% delle proposte sono ristampe con formule oramai rodate dalle major per attirare l’attenzione del mercato (De Luxe, Super De Luxe, Expanded, …) che spesso non vanno al di là della ricompilazione di materiale già pubblicato in precedenza con l’aggiunta di qualche inedito (vedi il cofanetto degli WHO), spesso di scarsissimo valore aggiunto (vedi SlowHand di Clapton magnifico ma non molto meglio dell’originale del 1977), mega cofanetti retrospettivi della serie The Complete Recordings (vedi quello immenso di Johnny Cash) oppure vecchie registrazioni di concerti ricuperate in qualche dimenticato cassetto (vedi l’interminabile serie di Jimi Hendrix live). Un altro 30% dell’offerta è dominato da grandi nomi che riescono a vendere solo per quello che hanno fatto nel passato e non per quello che offrono (vedi ad esempio Wrote A Song di Fogerty). Resta una misera quota del 20% nella quale andare a scovare qualcosa di interessante: in questa metterei sicuramente le ultime fatiche di Nick Cave (Push The sky Away), quella di David Bromberg (Only Slightly Mad), di Allen Toussaint (Songbook), di James Cotton (Cotton Mouth Man), di Eric Clapton (Old Sock), di Robben Ford (Bringing it Back Home) e poco altro. Ma secondo me il palmarès va al lavoro di una strana coppia che, nonostante non compaia in alcuna classifica e sia passato abbastanza inosservato, continua a suonare nel mio giracd dopo molti mesi e credo continuerà a farlo ancora per molto. Un disco interessante sin dalla copertina (rigorosamente in bianco e nero con i protagonisti placidamente in posa) dove campeggia il logo della mitica etichetta STAX di Menphis per la quale hanno registrato e registrano i più grandi del Blues e del Rhythm & Blues, in gran risalto i nomi dei due artisti in bianco e rosso ed imperativo il titolo di marleyana memoria Get Up! progetto congiunto di Ben Harper e Charlie Musselwhite.

Stana coppia, dicevo, per la diversità di generazione, di colore, di provenienza ma accomunata da una passione sfrenata per il blues che in questo CD trova varie espressioni, più o meno sbilanciate verso il rock-blues, basate sulla eccellente tecnica chitarristica di Harper ottimante abbinata alla sua poliedrica voce e l’eccezionale supporto di Musselwhite all’armonica. I due si erano incontrati alla corte di John Lee Hooker (per registrare Burning Hell) e ripromessi di registrare qualcosa assieme: passati molti anni (era il 1997 quando si conobbero) eccoli a Los Angeles in studio alla fine del 2012; la collaborazione e facile, come se avessero sempre suonato assieme, e nasce velocemente Get Up! un disco di dieci ottimi brani, puliti, essenziali, con una fusione perfetta tra l’armonica, la voce e le chitarre, che riescono a coinvolgere sin dal primo ascolto. Don’t Look Twice apre il CD con la chitarra acustica e la voce scatolata di Ben, chitarra che diventa slide e supportata dalla stridente armonica di Charlie. Segue la sincopata I’m In I’m Out And I’m Gone, inizialmente parlata da Ben che scivola velocemente in un ritmo vorticoso ed impastato di armonica, chitarra e batteria. In We Can’t End This Way sembra di essere arrivati ad una festa campestre con relativo coro gospel, ma ritorna subito il blues con, a parer mio, il miglior pezzo del CD: I Don’t Believe A Word You Say. Tirata, violenta, voce ed armonica ruvide come in un genuino brano di delta blues dove Ben omaggia Jeff Healy suonando la slide sulle ginocchia.

Lenta e riflessiva invece è You Found Another Lover (I Lost Another Friend) dove ritroviamo il Ben Harper delle origini che gioca con la sua voce su una miriade di toni solamente accompagnata dalle delicate effusioni dell’armonica e poche note acustiche di chitarra. Parte lenta I Ride At Dawn, la commemorazione di un marines morto nella recente guerra in Afghanistan. Si inverte il ritmo con Blood Side Out, veloce blues scandito dall’armonica di Musselwhite e dalla voce stridente di Harper. Arriva la title track introdotto da un giro di basso Get Up! dove ancora una volta il fascino sta nell’amalgama tra la voce di Ben e l’armonica di Charlie. Uno sguardo al rock degli anni 60 con She Got Kick seguita da una lenta e riflessiva All That Matters Now dove i due sembrano raccontarsi la loro vita a parole uno a colpi di armonica l’altro: degna conclusione di un disco con il quale ho ritrovato un ottimo ed in forma Ben Harper (persosi negli ultimi anni in progetti poco affini alla sua anima blues) ed un grandissimo e generoso Charlie Musselwhite.

Davide Palummo, gennaio 2014

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