Ricordi del 2011

Vorrei chiudere questo 2011 ricordando due artisti a me molto cari che sono mancati durante l’anno andando tristemente ad arricchire una lista di lutti impressionante che ha visto scomparire tra gli altri Gary Moore, Pinetop Perkins, Clarence Clemons, Amy Winehouse. Ma un posto particolare nel mio cuore avevano, ed avranno per sempre, Bert Jansch e Phoebe Snow. Il caso me li ha fatti incontrare molti anni fa in uno dei tanti negozi di dischi londinese che spesso bazzicavo dove acquistai L.A Turnaround di Jansch ed il primo album omonimo della Snow. A parte questa casualità, un paio di album del 1974 con i quali ho cominciato la loro conoscenza, li accomuna molto poco se non essere mancati prematuramente, essere ottimi chitarristi e vicini al folk, voci malinconiche e profonde allo stesso tempo, liriche intime: finiscono qui le analogie perché lei è americana, di New York City, lui scozzese, di Glasgow; lei è cresciuta ascoltando Delta Blues, musica classica e da Musical, lui la grande tradizione inglese senza disdegnare Woody Guthrie e Pete Seeger.
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Ho avuto la fortuna di vedere dal vivo, sempre a Londra, Bert Jansh con la sua fedele chitarra e quella voce, a volte inquietante a volte calda e passionale, riconoscibile tra mille; canzoni tristi che parlano d’amori impossibili, leggende d’altri tempi ma anche storie di tutti i giorni; sempre presente l’inconfondibile suono della sua chitarra dominata con tecnica e maestria uniche. Scoprire quello che aveva fatto con i Pentangle negli anni sessanta e poi da solo successivamente è stata una magnifica avventura: se da noi Jansch è conosciuto solo da pochi appassionati di musica, in Inghilterra è una vera e propria leggenda, alimentata dalle sue moltissime presenze dal vivo in concerti, festival, locali dove sempre ha mostrato il suo eclettismo nel suonare la chitarra ed una grande capacità di fondere elementi folk, blues e jazz e di scrivere liriche bellissime e parimente andare a riscoprire pezzi della tradizione. Dei suoi 23 album solisti, oltre ai 6 con i Pentangle, credo siano fondamentali per capire la sua poetica il primo del 1965 e l’ultimo del 2006. L’album omonimo del 1965 è un vero capolavoro e non a caso è compreso in “1001 Albums You Must Hear Before You Die” e Jimmy Page lo considera assolutamente all’avanguardia al momento della sua pubblicazione. Contiene alcuni gioielli come Needle of Death ed Angie, ripresi poi centinaia di volte dal vivo ed in altri album. Black Swan del 2006 è invece l’ultimo album registrato da Jansch con il supporto di alcuni musicisti d’eccezione, come Beth Orton, oltre al figlio Adam dove affronta alcuni pezzi della tradizione oltre ad una manciata di sue canzoni. Certo, se di parla di pezzi della tradizione non è possibile dimenticare la sua interpretazione di She Moved Through The Fair presente nell’album Toy Balloon del 1998, resa celebre dai Fairport Convention ma interpretata da moltissimi altri artisti tra cui John Martyn, Van Morrison con i Chieftains e Rory Gallagher.
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Se Jansch dava il meglio di sé dal vivo, Phoebe Snow era riservata ed ha sempre disdegnato le apparizioni in pubblico: anche per lei per l’album omonimo del 1974 possiamo parlare di capolavoro tanto da farle guadagnare un Platinum Record oltrepassando il milione di copie vendute in USA ed un Grammy Awards con il brano Poetry Man che l’ha resa celebre; bellissime anche Harpo’s Blues e la classica San Francisco Bay Blues, assieme ad altri pezzi che valorizzano le capacità di Phoebe che si avvale di valenti musicisti come Steve Gadd (batteria), David Bromberg (chitarre) e The Persuasions (cori). Phoebe Snow dimostra sin dall’inizio di essere una grande cantautrice, dall’immensa sensibilità musicale, capace di usare tonalità blues e jazz per arricchire i suoi pezzi oltre alla grande maestria con la chitarra; e lo conferma con il successivo Second Childhood del 1976 dove, ancora al fianco grandi sideman come David Sanborn (sax) e Ron Carter (basso), fornisce una bella prova, forse maggiormente jazzata della precedente; spiccano in questo secondo intimo lavoro Cash In e There’s a Boat Dat’s Leavin’ Soon for New York dove la sua voce si fa esile, calibrata con vibrati continui che danno enfasi al pathos dei brani stessi.
Con queste poche parole spero di avere reso omaggio a Bert Jansch e Phoebe Snow andando a ricordarli a chi ha avuto la fortuna di incontrarli nella propria esperienza musicale e incuriosendo invece chi non li conosce, fornendo qualche spunto per andarli a scoprire: sarà una vera gioia ed un’esperienza importante per la propria cultura musicale.

Davide Palummo, Dicembre 2011

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