4 OTTOBRE 1970: UNA CANZONE PER JANIS JOPLIN

Janis Joplin Risonanza
Si avvicina il 4 ottobre, anniversario della scomparsa di Janis Joplin. Avevo già scritto qualche riga su Janis e su Piece of my heart. Nel mio nuovo libro, AMAZING GRACE (lo trovate su www.itacalibri.it) ho scavato più a fondo. Ecco cosa ne è uscito.

Il nome di Bert Berns dice poco. E di sicuro il mio nome non diceva nulla a Bert, già famoso per aver scritto Twist and shout. Avevo otto anni quando è morto nel dicembre del ’67. All’inizio di quell’anno lui aveva scritto Piece of my heart insieme a Jerry Ragovoy, un bel brano affidato all’ugola di una cantante minore della soul music, Erma Franklin, la sorella maggiore di Aretha, che comunque con quell’interpetazione si portò a casa un Grammy per la miglior interpretazione femminile dell’anno. Era una canzone d’amore, un rhythm’n’blues partecipe e suadente in cui l’amata donava il suo cuore all’amato.

Non ti ho fatto sentire come se fossi l’unico uomo?
Si l’ho fatto!
Non ti ho dato ogni cosa che una donna ti potesse dare?
Dolcezza, lo sai, l’ho fatto!
E ogni volta che dico a me stessa
Ora ne ho avuto abbastanza di lui
Ti dimostro, bambino, che una donna può essere resistente
Voglio che ti muovi
E prendi
Prendi un altro piccolo pezzo del mio cuore

Ma di tutto questo, di Bert e Erma e dei pezzi di cuore donati da una donna, io non sapevo nulla: avevo otto anni, giocavo a calcio nel cortile di casa mia, andavo alle elementari, guardavo la tivù dei ragazzi in una televisione in bianco e nero, portavo i pantaloni corti, avevo un go kart a pedali e un casco in plastica che mi faceva sentire un pilota di Ferrari.
Eppure questa, senza che nessuno lo sapesse e senza che io lo immaginassi, doveva diventare la canzone che cambiava la mia vita. Tutto ha cominciato ad accadere all’inizio del 1968, quando una cantante texana, Janis Joplin, ha inciso questo stesso pezzo trasformandolo in qualcosa d’altro dal suo originale. Ma anche Janis non ne sapeva niente, o meglio: non sapeva nulla di quello che sarebbe accaduto a me.
È successo una sera, mentre avevo già quattordici anni, quindi era il ’73, ed ascoltavo alla radio uno dei rari programmi di musica rock, Supersonic. Janis era già scomparsa, portata via nell’autunno del 1970 da una maledetta overdose. Una sera il conduttore di Supersonic (non si chiamavano ancora deejay) lancia nell’etere proprio la Piece of my heart di Janis Joplin. E’ lì che ho iniziato a diventare grande.

Oh, oh, spezza!
Spezza un altro pezzo del mio cuore, tesoro, si, si, si.
Oh, oh, prendi!
Prendi un altro piccolo pezzo del mio cuore, bambino,
Lo sai, si
Puoi averlo se ti fa sentire meglio

Non portavo più i calzoni corti, suonavo la chitarra, portavo i capelli lunghi, stavo iniziando ad ascoltare rock’n’roll e blues, andavo a pelle e a interessi, ma per la prima volta, con l’interpretazione di Janis, vivevo l’esperienza fisica ed emotiva di una canzone. Lei cantava “prendi un piccolo pezzo del mio cuore” ed io avevo la percezione inspeigabile che in quel momento lei proprio fisicamente era disposta a staccarsi un pezzo di cuore. Non interpretava, ma “viveva” quella canzone. Certo, si dirà, è questo che fa grande un’interprete, dalla Callas a Mina, la capacità di calarsi nella parte, di “essere il personaggio interpretato”, ma anche di tutto questo io non ne sapevo nulla, erano cose che sarebbero arrivate dopo.
Janis cantava “prendi un pezzo del mio cuore, stacca un altro pezzo del mio cuore” e io sentivo che era proprio così.

Tesoro, ho pianto tutte le notti!
E ogni volta mi dicevo
Non posso sopportare tutta questa sofferenza
Ma quando tu mi tieni fra le tue braccia
Voglio cantare e dirti ancora.
Muoviti, muoviti
E spezza
Prendi un altro piccolo pezzo
Del mio cuore, tesoro

La mia vita è cambiata quella sera, dietro un’emozione mai sentita prima. Per la prima volta intuivo che il rock era una cosa fisica, non si “sentiva” con le orecchie, ma con il cuore e con tutto il corpo. Da allora c’è stato uno spartiacque per me tra le musiche che arrivano in fondo al cuore e quelle in cui c’è solo il mestiere. E anche in me è scattata una molla: nella vita non si vive per finta.

In quel 1968 della mia infanzia, Janis Joplin raggiungeva finalmente il successo dopo una vita grama di alcolismo, risse in famiglia, fughe verso San Francisco dove, per mantenersi, cantava il blues e si vendeva sui letti del quartiere degli hippies. In due anni eccessivi in tutto, la cantante di Porth Arthur ha saputo incidere dischi meravigliosi, esprimendo come nessun altro quel senso infinito di disperazione da mancanza da amore. Quando Janis scompare il 4 ottobre del ’70, è una fine quasi prevedibile: le sue esagerazioni erano direttamente proporzionali all’incapacità di vivere senza un amore totale, infinito, in grado di essere il pieno di tutto quel vuoto che, in certi cuori intensi, è grande come l’universo. Era una che diceva “prendi un altro pezzo del mio cuore” e sarebbe stata in grado di darlo davvero, in cambio della felicità. Per la sua voce, per i suoi occhi, per la sua intensità, sono sempre stato innamorato di Janis (e mia moglie lo sa….).

Walter Gatti

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