2010: IN ATTESA DI MUSICA E COMMOZIONE

Janis joplin
Devo dire grazie ad Alberto Contri per un suo pezzo su IL SUSSIDIARIO: che la musica possa ancora stupirci è una provocazione stupenda e valida non solo per il jazz o per la musica classica. Sarebbe bello che il 2010 portasse cose sonore che ci possano lasciare di stucco e tendere l’orecchio, cosa che accade sempre più di rado. E’ una prova che faccio spesso (e la farete, credo, anche voi….), soprattutto viaggiando in auto: accendo la radio e provo a lasciare che le emittenze si susseguano in ricerca automatica, per provare a fermare il segnale su qualcosa di interessante. Bene: di solito non si trova nulla, ma proprio nulla, che valga la pena, se non qualche vecchia canzone, qualche vecchio pezzo rock (mi è successo anche ieri con Long train running, dei Doobie Brothers). Segno che nell’airplay solitamente non c’è proprio l’ombra di un suono che appartenga alla categoria dello “stupefacente”.

Cosa c’è stato nei decenni che mi ha musicalmente stupito? La mia musa, l’eterna Janis Joplin, gli Allmans, Stevie Ray… L’elenco è troppo lungo e si confonde con le tappe della vita, come accade per tutti gli onnivori musicali e non sto parlando solo degli anni d’oro del rock, perché anche negli ultimi anni ci sono cose a mio avviso eccezionali e non appartenenti alla categoria del già visto. In questo senso direi che l’imponente costruzione musicale dei Mars Volta forse non ha eguali: un’insieme di progressive eclettico e futuribile, come una pallina impazzita dentro un flipper, che periodicamente fa pensare a Pink Floyd o a Zappa, a U2 e a Genesis, ma ogni riferimento dura una frazione di secondo, una misura ritmica e poi via, già non c’è più.

Ovviamente per definire la loro musica si va a cercare definizioni del passato del rock, ma questo non è un guaio, anzi è un’ovvietà. Credo che altri nomi emersi negli ultimi cinque anni potrebbero essere aggiunti, dai dublinesi Lyla ai bretoni Gwerz; in questi giorni mi son messo ad ascoltare il disco d’esordio di un giovane piemontese, Deian, che mi ha lasciato di stucco per una vena naive a metà strada tra Eels e Beefheart, Jannacci e Waits, a dimostrazione che pure l’Italia è in pista.

Ma fin qui mi son fermato a un livello d’elencazione, mentre Contri non ha parlato di singoli casi ed ha portato il discorso più in profondità, dando per automatico il legame stupore-innovazione, impossibile in questa nostra Età del Ferro. Forse non è questa l’unica chiave di volta. Spesso “stupore” va di pari passo con “bellezza e commozione”, anche se lo stesso non porta con se elementi di innovazione strutturale e architettonica. Da una trentina d’anni quando sento Luci a San Siro di Roberto Vecchioni, mi prende il groppo alla gola e questo non appartiene alla categoria “innovatività”, bensì “commozione”. Penso agli ultimi anni di Leonard Cohen, ai suoi concerti liturgici, ai suoi gesti, oltre che alla sua voce. Penso a quel che ha combinato Giovanni Lindo Ferretti con i suoi ultimi album, laudi post-moderne dall’intensità fisica palpabile. Penso al Blood and candle smoke di Tom Russel, cantautore texano “minore” capace di poetica borderline. Vorrei quindi spostare il tiro, non dando per scontato il binomio del caro Contri: stupore e innovazione non sono l’unica coppia che funziona in musica, anche stupore e bellezza, pur nel già noto, sono perfetti, come il sole che sorge ogni mattina.

Roberto Vecchioni, Luci a San Siro, Versione voce e chitarra, Premio Tenco 1981

Insomma, se si cerca oggi qualcosa che possa anche essere lontanamente paragonato al passaggio dalla monodia alla polifonia, alla nascita della sinfonia così come Mozart e Beethoven l’han codificata, alla nascita dell’a-tonale e della dodecafonia, oppure al be-bop o al free jazz, ai primordi del rock’n’roll, allo schiaffo del punk o all’esplosione della canzone d’autore in Italia, beh, forse oggi non c’è all’orizzonte nulla del genere. Ma la commozione di una grande canzone può esplodere in qualsiasi momento. Tenuto conto che, in genere, le sorprese autentiche arrivano di solito non preparate o coltivate: solo così sono completamente stupefacenti. Anche nell’Età del Ferro (con tutto il rispetto per l’omonimo Tiziano….)

Walter Gatti

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