RAMAZZOTTI, PENSIERI E CONCERTI

Eros Ramazzotti
Ciao a tutti. Son stato travolto dagli eventi lavorativi, quindi son stato un po’ (troppo) assente. Ieri c’era a Padova il concerto di Eros Ramazzotti. Lo conosco bene. Ho scritto per il Corriere della Sera-Corriere Veneto un pezzo-ritratto. Eccolo:

Fuori, montagne di neve, dentro il caldo suono del pop: Eros Ramazzotti ha scaldato la gelida notte padovana. Fuori code di macchine e spazzaneve, dentro le canzoni, da Cose della vita a Se bastasse una sola canzone a scaldare i cuori del pubblico. È stata l’ultima data del tour 2009, con Padova come piazza del saluto natalizio. Applausi ed emozioni, poi tutti a casa ad aspettar Natale.

A riflettori spenti mi piace pensare a cosa è accaduto ad Eros in questi venti anni in cui lo conosco e a certe cose di lui, che forse non sono di “comune dominio”. L’ho intervistato la prima volta nell’87, quando era appena uscito In certi momenti. Allora era un fenomeno tutto italiano. Poi le interviste si sono alternate alle chiacchierate, fino a quando per una serie di motivi sono entrato a far parte del suo staff e ho seguito la nascita di uno dei suoi dischi più belli ed amati, Dove c’è musica (1996). In quegli anni ho visto in tour migliaia di giovani di mezzo mondo osannare questo prodotto del Made in Italy. Lui mi diceva che voleva parlare la lingua della musica internazionale ed infatti quello è stato il momento della sua definitiva affermazione mondiale.
Un solo ricordo vale il racconto. Era l’estate del ’95. All’Olympia Stadium di Monaco di Baviera c’erano Rod Stewart, Sheryl Crow, Elton John, Black Crowes ed altri. E anche Eros. Non so dire quanta gente ha affollato lo stadio delle Olimpiadi per seguire quel carrozzone musicale, più o meno novantamila spettatori. Lì ho visto che i tedeschi lo ascoltavano in modo differente: per loro era pop-rock con un’impronta latina, un melange di Mediterraneo e soul su una piattaforma professionale di musicisti ed emozioni sonore. Eros vinceva la sua scommessa: se vuoi avere successo all’estero devi avere gli standard che la musica internazionale richiede, musicisti stellari, produzione impeccabile. E’ come per la Champions League: devi avere certi standard, altrimenti non vai avanti. Ramazzotti è forse il primo ad aver accettato la sfida e ad averla vinta, l’ho capito a Monaco e gli eventi successivi me l’hanno confermato.

Poi ho seguito, sempre con un occhio “da amico”, sviluppi e cambiamenti degli album successivi, con la crescita di un suono sempre più maturo e l’arrivo di canzoni da quarantenne. Negli anni mi son chiesto se Eros riuscisse ad “arrivare” per quello che è. Per come l’ho conosciuto, radicalmente schivo da tutto ciò che è gossip, Eros è in fondo un uomo cresciuto in un ambiente tosto come era la borgata di Cinecittà degli anni Sessanta (in fin dei conti Adesso tu è un brano autobiografico), che milioni di dischi non han cambiato di molto se non per ciò che la vita stessa insegna. Non è un personaggio costruito: introverso, testardo e istintivo, è un quarantaseienne con la scorza, con un feeling naturale per le melodie, che vive ritirato in una zona verde delle vecchia Lombardia, un padre innamorato di sua figlia teenager, un uomo che vive per le sue canzoni. E anche un musicista autentico. Ci sono cose che probabilmente l’opinione corrente sottovaluta. Eros è un gran chitarrista. Ha una stupenda collezione di chitarre e le sa suonare: non sempre le due cose vanno di pari passo. Nel background dei suoi amori ci sono la soul music e il rhytm’n’blues. Recentemente ha detto “nel futuro potrei anche incidere un disco blues”, e mi son tornate in mente tante cose dette insieme attorno alla black music americana. Potrebbe farlo, quel disco. Anzi, son certo che prima o poi lo farà. E magari chiamerà Eric Clapton a far da ospite d’onore…

Walter Gatti

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