IL RITORNO DEI PHISH: JOY!

Dopo anni di silenzio discografico, sono tornati i Phish. Per qualcuno non è una notizia, per altri si. Se si pensa che il Rolling Stones li ha definiti “la più influente band americana degli anni ‘90” si capisce perché anche al di là della cerchia dei fans la notizia possa interessare. Nati nell’83, i Phish sono un quartetto del Vermont composto da un musicista immenso come Trey Anastasio (chitarra), Mike Gordon (basso), Jon Fishman (batteria) e Page McConnell (pianoforte), che della creatività del leader è il miglior co-protagonista. Loro obiettivo dichiarato: non ricadere mai in nessun “genere”, miscelare rock e jazz, folk e sperimentazione, sempre e comunque dando spazio alle improvvisazioni. Risultato finale: un sound a metà strada tra Grateful dead e Allman brothers, ma soprattutto la capacità di dar vita a quel fenomeno delle Jam band a cui poi si sono aggregati nomi belli come quelli della Dave Matthews Band, dei Blues Traveler, degli String Cheese Incident, dei Widespread panic.    Negli anni i Phish hanno contribuito con alcune idee affascinanti lo standard del rock americano: prima con i concerti della sera di Halloween in cui eseguivano (davanti a 100-150.000 persone) oltre al proprio concerto “standard”, anche grandi album del rock nella loro interezza (stiamo parlando di Dark side of the moon, Sgt.Pepper, Sign of the times, The lamb lies down on broadway….); poi incentivando le registrazioni “pirata” da parte dei fans, che hanno iniziato a presentarsi ai singoli concerti con piccole stazioni di registrazione per generare bootleg “non-ufficiali” a cui la band non si è mai opposta (anche perché ogni concerto è diverso dal precedente), rendendo quasi industriale un’idea che già anni prima avevano avuto i Grateful Dead. Insomma: i Phish hanno dato vita a un movimento nuovo di fare e ascoltare musica negli States. Però… gli altri e bassi della vita sono di tutti. Gli ultimi dischi della band non sono stati dei capolavori e soprattutto le vicende di Trey Anastasio (il vero geniaccio del gruppo: chi ha tempo e voglia si ascolti qualcosa del doppio live Plasma) hanno fatto rallentare la produzione. Il chitarrista ha avuto grossi problemi di salute e di tossicodipendenze, ma dal 2006 pare che qualcosa sia svoltato e anche artisticamente Trey ha iniziato a dar vita a progetti insoliti tra composizioni per ensemble classici e commistioni tra rock e sinfonica, collaborazioni con Springteen e con la Nashville Orchestra. Il ritorno discografico dei Phish con questo nuovo Joy (prodotto da Steve Lillywhite) è decisamente convincente. Il loro suono, un travolgente impasto di chitarra-pianoforte è ancora brillante e ricco di sfumature, carico di voglia di suonare e di necessità di farsi ascoltare. Dieci pezzi, durata media sei minuti, con alcune perle assolute: Backwards down the numb, grande pezzo di trascinamento pianistico e chitarristico, impreziosito dai cori di tutta la band, Stealing time from the fault, forse il pezzo migliore, è il classico brano che dal vivo assume dimensioni e durate avventurose, al pari di Oncelot e Light. Ci sono anche brani “corti”, come Joy, una ballata positiva sul senso di speranza della vita, I’ve been around, una magnifica ballata bluesy d’impostazione pianistica, mentre Kill devil falls è un perfetto pezzo di country-rock anni ’70.  

La band si è ricostituita, il suo suono è rinato in pieno. I guai sono alle spalle? Si spera, con al canzone che chiude il cd, Twenty years later, classico pezzo del “dopo tanti anni siamo ancora qui a cantarvele….”. Il pezzo più… “presuntuoso”, Time turns elastic è una lunga suite di impronta progressive che ha avuto una strana gestazione: firmata da Anastasio è nata lo scorso anno come brano sinfonico e come tale (con tanto di orchestra e coro) è stata presentata alla Carnegie Hall di New York. Ora, con il nuovo disco, i Phish se ne sono appropriati trasformandola in un pezzo di importante minutaggio. Forse non è il pezzo migliore, però sa dimostrare fin dove vogliano ancora spingersi questi quattro nella loro ricerca musicale. E chi li ama, io tra questi, ne è contento. Non a caso in questi giorni il cd gira e rigira. E Stealing time from the fault l’avrò già risentito una ventina di volte….

Walter Gatti  

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