WOODSTOCK 4: ECCO LA COLLINA DEI SOGNI!

 

In quell’estate del 1969, Michael Wadleigh girava gli States per il suo lavoro di cameraman e fotografo. Lavorava negli ambienti della controcultura hippy e del pacifismo e aveva seguito a lungo Martin Luther King e Robert Kennedy. Aveva sperimentato il montaggio di più immagini all’interno dello stesso schermo, un progetto molto personale e fino ad allora mai visto in produzioni professionali. Su consiglio di Kornfield, Joel Roberts lo aveva contattato per seguire il festival di Woodstock ed elaborarne il più importante documentario rock della storia, qualcosa che avrebbe – ovviamente – superato anche dal punto di vista cinematografico il film-concerto di Monterey (per altro risultato assolutamente statico nonostante la buona vena del cineasta Don Pennebaker).
Wadleigh aveva contattato la Kodak per ottenere un coinvolgimento del grande marchio nella produzione del film-concerto, ma la risposta era stata: «Se vuoi le pellicole, la cifra è 50.000 dollari». Michael aveva deciso di pagare di tasca sua, dando fondo alla sua riserva “bancaria”.
Quando a metà di luglio Wadleigh arriva a Walkill per il primo sopralluogo sul campo, armato di camera e macchina fotografica e accompagnato dal suo aiutante Bob Maurice, scopre da Michael Lang che il Festival sta saltando: «La città di Walkill ci ha detto che il territorio cittadino non è più disponibile per il Festival e quindi c’è da ricominciare tutto da capo». Il giovane regista quasi sviene: «ho avuto una sensazione di assoluto terrore». Soldi in fumo, contratti da stracciare, una campagna pubblicitaria da annullare. Più che un festival la situazione era quella di un manicomio.

Ricapitolando: Lang era a Woodstock, con il suo braccio destro Goldstein e Wadleigh, senza alcuna idea su come rimettere in sesto le cose. Kornfield era in giro per gli States per chiudere gli ultimi accordi con le band: il 27 e 28 giugno, ad esempio, era stato a Denver al Mile High Festival e aveva assistito al più violento scontro tra giovani politicizzati, hippy e la polizia, un colossale pestaggio finito con oltre cinquecento feriti. Qui però Artie aveva anche visto l’esibizione di Joe Cocker, semi-sconosciuto artista britannico, e della sua Grease Band e aveva obbligato Michael a inserirlo nella scaletta del Festival. Intanto Roberts e Rosenman erano a New York e seguivano con ansia l’andare in fumo di circa 1.300.000 dollari (la cifra a cui ammontavano gli investimenti già realizzati più l’eventuale rimborso dei biglietti).
Che fare? Dove cercare un altro luogo per il Festival a meno di un mese dalle date ormai programmate e annunciate, con oltre quarantamila biglietti già venduti?

La salvezza venne dal nulla. Anzi, viene da un signor Nessuno: Eliott Tiber. 34enne, vagamente “artista e scrittore”, Eliott è un attivista del movimento gay di New York che, per lavoro, aiuta i genitori a gestire il piccolo (e deserto) motel “El Monaco”. Tra il 16 e il 17 luglio Eliott legge sui giornali dell’impossibilità di tenere a Walkill il festival della “Woodstock ventures”. Eliott ha nelle mani la soluzione di tutti i problemi: è la licenza a tenere un festival di musica da camera nella sua tenuta di fronte al motel, nel territorio di Bethel. Il racconto di Ticia Bernuth Agri, segretaria di Michael Lang, è illuminante: «Dopo che ci proibirono di utilizzare l’area di Walkill, Michael dichiarò allo staff: “Niente paura, è tutto sotto controllo“. Mi disse: “Ticia, prendi le telefonate mentre sono dall’avvocato“. Insieme a John, Joel e Artie aveva un appuntamento con l’avvocato Paul Marshall per decidere come muoversi. Mentre era via, chiamò un tizio: “Sono Elliot Tiber, proprietario di un vasto appezzamento di terra: vi vogliamo a White Lake“. Gli risposi: “Davvero? Aspettateci!“. Avvisai Michael, che in pochi minuti passò a prendermi in macchina e partimmo verso nord».

Quando Michael e i suoi arrivano da Eliott, a Bethel, scoprono che il giovane ebreo (di nome faceva in realtà Eliyahu Teichberg) gestisce un motel cadente alle cui spalle c’è un modesto terreno impastato di umidità. Bastano tre parole per intendersi: non ci siamo. Eliott, però, non si perde d’animo e chiama un amico agente immobiliare, Morris Abraham, che porta Lang e gi altri in un giro di perlustrazione della zona, finché la macchina si ferma sulla sommità di una collina. Michael Lang (nel suo recente “Woodstock” – Arcana editore – magnifico libro che presenteremo nei prossimi giorni), la racconta così: «Era il campo dei miei sogni. Quello che avevo sperato di trovare fin dall’inizio… Sceso dall’auto, camminai nella conca verdeggiante. Era perfetta».
Di chi era quell’anfiteatro di erba verde nel mezzo della Sullivan County, circondato di alberi e di piccoli laghetti? Di Max Yasgur, allevatore, proprietario terriero, il più importante produttore di latticini della contea. Aveva quasi cinquant’anni e viveva con la moglie Myriam. Michael e Max si incontrarono in quello stesso pomeriggio. Alla domanda «quanto vuoi per l’affitto di queste terre», Yasgur fece due conti: l’accordo fu raggiunto sulla base di 50.000 dollari. La sera del 17 luglio il Festival aveva la sua casa. La comunità di Bethel, poco più di duemila persone, non fece obiezioni. Il 21 luglio iniziarono ad arrivare i trucks per attrezzare l’area del concerto. Questa volta il Festival di Woodstock poteva “partire”. Tutto merito della “licenza per concerti” di Eliott Tiber: senza quel pezzo di carta chissà dove sarebbe finito il sogno di Artie e Michael.
Quarant’anni dopo, anno 2009, Eliott è ancora vivo. Ha pubblicato un libro su quei giorni “Taking Woodstock”. Dovendo in un qualche modo “celebrare” il concerto rock più importate della storia, Ang Lee (discusso e discutibile regista di Brokeback mountain e di Lust-Lussuria) ha fatto una scelta divertente, trasformando il libro in un film. Uscirà nel prossimo agosto. Ovviamente nei giorni del 40° anniversario… 

Walter Gatti

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