JOHNNY FOGERTY LIVE: IL FASCINO DEL ROCK COME SPERANZA

 Grandi canzoni, suono convincente, passione positiva: cosa chiedere di più a un concerto rock nell’anno della grande crisi? Vedere in scena John Fogerty a sessantaquattro anni suonati, il musicista che alla fine degli anni Sessanta ha infilato un successo dietro l’altro con i suoi Creedence Clearwater Revival, osservarlo cantare, suonare e scorrazzare in lurgo e in largo senza ritegno e senza risparmio, dà la sensazione di aver assistito a uno dei migliori concerti possibili del 2009. Motivo di questo entusiasmo? La forza della musica rock, allo stato puro: il rinnovarsi di un evento che fa pensare ai tempi belli di Elvis, di Buddy Holly, di Carl Perkins, di Johnny Cash.

Non è necessario sfoggiare i capelli grigi per fremere per un concerto che inizia al ritmo di Hey tonight e Green river, che continua con due ballate acustiche immortali come Who’ll stop the rain e Have you ever seen the rain (con quel famoso ritornello: «Voglio sapere, Hai mai visto la pioggia venire giù in un giorno di sole?»), che prosegue con il sound della Louisiana che spira forte in Born on the bajou e Jambalaya. Rock immediato, impetuoso, che ti avvinghia senza sosta, canzoni che raccontano la storia di quando le speranze giovani erano positive, di quando ancora non c’era l’odore dei grandi tradimenti: ecco la forza del “vecchio” Fogerty, che va orgoglioso (giustamente) delle sue canzoni “quasi tutte in toni e accordi maggiori”. Indistruttibile e impeccabile, quarantanni dopo i suoi esordi, Fogerty ancor più che nei suoi tempi d’oro offre uno spettacolo di grande musica, con una band esagerata (basso e batteria, violino e tastiere e addirittura tre chitarre) controllata e guidata da un capobanda assolutamente inarrestabile, dotato di una tecnica chitarristica eccelsa e di una voce unica.

Alla faccia dell’età, questo musicista californiano con New Orleans nel cuore, ha da insegnare a tutti come si sta sul palco, da Springsteen agli U2. I sogni e le utopie del rock, in tutte le sue canzoni, sono come sbocciati stamane, freschi, non contaminati, anche se pure per lui il presente è una riconquista avvenuta dopo aver superato le zone grigie della mancata creatività, durate qualche decennio, dopo aver superato vecchi problemi caratteriali (mister Fogerty è un caratterino difficile: ha mandato al diavolo la sua band e il fratello Tom – scomparso nel ’90 – perché evidentemente “troppo” inferiori al suo talento e livello di scrittura musicale) e aver ritrovato (grazie anche alla moglie, a cui dedica sempre dal vivo la dolcissima Joy of my life) la voglia di comunicare on stage. Considerato negli States una colonna portante del rock di tutti i tempi, al pari di Dylan ed Elvis, John Fogerty negli anni ha trovato la quadratura della sua umanità e, di conseguenza, ha ritrovato l’autorevolezza della propria musica che lo porta, in questa estate rock a esibirsi in oltre 140 minuti di show da seguire palpitando.

Finale terrificante (a Roma, come a Padova e a Lucca: queste le tre date italiane) con Down on the corner, Old man on the road, Rockin all over the world (autentico inno giovane, innocente e liberatorio), Proud Mary e Fortunate son, cinque canzoni che confermano una famosa frase di Bruce Springsteen «John Fogerty è uno dei motivi per cui ho iniziato a suonare rock’n’roll». Sudore e saluti finali per un grandissimo musicista. Intanto è confermato anche il suo ritorno discografico: all’inizio di settembre uscirà infatti The Blue Ridge Rangers Rides Again, un album decisamente country oriented, ripresa di un suo vecchio titolo, che vedrà la presenza succulenta di ospiti del calibro di Bruce Springsteen e di Don Henley e Timothy Schmit degli Eagles. Sarà di certo un disco da non perdere. Il marchio di fabbrica dà sicurezza…

Walter Gatti

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