ROBBIE ROBERTSON: FALLEN ANGEL

 Difficile trovare parole diverse da quelle di Enzo Jannacci di fronte a ciò che è successo in questi giorni. Difficile. Ci vorrebbe una carezza. Perché la carezza è fatta dalla mano di qualcuno che ti può amare. La carezza del Nazareno viene da chi ti può amare tutto, per sempre. Cose impossibili ad un uomo. A qualsiasi uomo. Jesus blood never failed me yet cantava il barbone di Gavin Bryars. Jesus oh Jesus I don’t wanna die alone canta Johnny Cash nella liturgica Spiritual. In Help! ho provato a raccontare una delle canzoni immense dell’uomo di fronte al dolore narrando Fallen angel di Robbie Robertson:Di fronte al dolore c’è poco da dire e da fare: esce la dignità dell’uomo, escono le sue ragioni. Di fronte alla morte non ci sono mediazioni. Tanto rock ha fatto i conti con il senso della morte e con il senso dell’assenza che questa porta con sé, anche perché il rock stesso è attraversato in ogni suo muscolo dall’incidenza della morte. Sogni andati in frantumi che si sono portati via musicisti simbolo, le scomparse tragiche di Hendrix e Joplin, di Jim Morrison e Ian Curtis, di Duane Allman e Bob Marley, di Freddie Mercury e John Lennon, di Sid Vicious e Keith Moon: insomma difficile non “fare i conti”, come faceva il cavaliere nel Settimo sigillo bergmaniano.E in effetti ci han fatto i conti in molti, se è vero che è proprio “il senso della fine” la sottile traccia di tutto Sgt. Pepper’s dei Beatles, dall’ironica copertina con tanto di tombe e fiori ad memoriam all’epica canzone A Day In The Life (ode di piccoli fatti indecifrabili che anticipano la fine del mondo). Ci ha fatto i conti con una intensità non comune anche il canadese Robbie Robertson, già leader di The Band, in una delle più belle canzoni di tutti i tempi: Fallen Angel. “Esagerato”, si dirà. Magari è vero, però non cambio idea: una delle più belle canzoni di sempre. Robbie l’ha scritta per Richard Manuel, vocalist e pianista del suo ex gruppo, scomparso il 4 marzo del 1986 in una tragica notte mai chiarita. Non credo che tutto finisca nel nulla
Le cose non sono solo scritte sulla sabbia
A volte ho pensato che tu fossi troppo sensibile
E che avessi attraversato la terra delle ombre
(….)
Nei miei sogni le trombe stavano suonando
Nel mio sogno ho perso un amico
Vieni qui, Gabriele, e soffia nel tuo corno
Perché un giorno noi ci incontreremo di nuovo 
Tutte le lacrime
Tutta la rabbia
Tutti quei blues nella notte
Se i miei occhi potessero vederti
Risplendere nella luce argentata
(…) Se sei la fuori
Puoi toccarmi?
Puoi vedermi?
Non lo so
Se sei la fuori,
Puoi raggiungermi?
Lascia un fiore nella neve… 

Umanità. Ecco cosa esprime Fallen angel. Una delle canzoni più umane che abbia mai ascoltato. E non scritta da un ragazzino, ma da un uomo di 40 anni, per un amico di 40 anni che se n’è andato nel peggiore dei modi. Si porta dentro non rabbia, ma mistero. Se esprime umanità, è perché la sua cifra è il mistero. Della morte, del perché una morte così. Dopo anni di sogni, di speranze, tutto scompare. Eppure, canta Robbie, dimmi che non è tutto finito, dimmi che sei là fuori, che puoi toccarmi, vedermi, raggiungermi. Dimmi che c’è ancora strada da percorrere insieme, dimmi che è giusto ed umano sperare…

Dimmi, cioè, che quella carezza ci può essere. Per tutti…

(Walter Gatti)

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