VAN MORRISON: KEEP IT SIMPLE

L’uscita di un nuovo album di Van Morrison è sempre un evento, soprattutto per i suoi fan che lo seguono da decine di anni; è così anche per l’ultimo KEEP IT SIMPLE la cui attesa è stata però amplificata da un evento live (il concerto di febbraio al St.Luke’s di Londra trasmesso dalla BBC) che ha sconvolto i tradizionali modelli di lancio di un disco. Risultato: critiche entusiastiche e ottimo posizionamento nelle classifiche UK ed USA già dalle prime settimane. Sulla copertina virata blu, che ricorda in qualche modo quella di Into The Music di trant’anni fa, ci appare un po’ imbolsito; ma Morrison ha sempre amato apparire sulle copertine dei suoi lavori dove ha intervallato a disegni e fotografie still-life le sue immagini, senza aver paura di mostrarsi così com’è: mi viene in mente giovanissimo e scapigliato in Astral Weeks, multiplo e tenebroso in Moondance, signore di campagna in Hymns to the Silence e Tupelo Honey, sognante in Saint Dominic’s Preview, cresciuto e provato in Poetic Champions Compose, dark e disilluso in The Healing Game. L’anno scorso con l’uscita della raccolta At the Movies, attenta selezione tra le grandi avventure del passato, avevamo intuito una certa ricerca delle radici ed introspezione che ha dato ottimi frutti; ed infatti ora ci racconta: “…mi deridevano quando suonavo questa canzone, tentando di ritornare a qualcosa di più semplice, mi deridevano perché dicevo le cose come stanno; mi dicevano che ero assolutamente fuori traccia ma dobbiamo tornare a qualcosa di più semplice per salvarci…”. Questo è KEEP IT SIMPLE: un album, il suo 35-esimo, di 11 eccellenti canzoni, costruite in modo semplice sulla base della voce calda e matura di Morrison dove come al solito le sue passioni blues, folk, jazz e rock’n’roll si fondono magistralmente. Morrison ci mostra tutto il suo eclettismo usando la voce come un meraviglioso strumento nelle parole ma anche nei mugolii (ba da da da,…, mmm mmm mmm) alti e bassi, quasi sussurrati, suona il sax, la chitarra, il piano, l’ukulele e si fa affiancare da grandi professionisti come John Platania e Mick Green alla chitarra, John Allair all’organo Hammond e Paul Moore al basso; bellissimi i cori e le voci di sottofondo di The Crawford Bell Sngers. Ne viene fuori un lavoro semplice, ma solo nel senso di basilare, non povero,  con grandi pezzi blues (How can a poor boy? e Don’t go to nightclubs anymore), ballate folk country (Lover come back, Keep it simple e Song of Home) ed un capolavoro assoluto come Behind the Ritual che ci riporta nella sua melodia, estensione e poeticità ai tempi di Caravan.

Davide Palummo, Aprile 2008

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